
Fare o non fare le Campagne di Brand in Google Ads


Di cosa parleremo oggi
Quando è indispensabile fare le Campagne di Brand Protection?
Nel 2021 è consigliato, se non obbligatorio, averle sempre attive nel tuo account Google Ads.
Rinunciare a questa tipologia di campagne vuol dire perdere delle opportunità e soprattutto lasciarle sfruttare alla concorrenza. In questo articolo troverai ben 10 ragioni per cui è indispensabile implementarle.
10 motivi per cui nel 2021 è obbligatorio fare le campagne di brand sulla rete di ricerca
Per campagne di brand in rete di ricerca si intende quelle che usano come parola chiave il nome del sito web da sponsorizzare. In pratica hanno come target quei navigatori che, per pigrizia nell’usare la barra degli indirizzi o perché non ricordano l’indirizzo web esatto, scrivono il nome del sito sul motore di ricerca di Google.
Quando è utile implementarle? Se mi avessi posto questa domanda 5 o 6 anni fa avrei risposto con il classico “dipende”. Sarei partito da una banale ricerca della parola brand su Google per verificare se altri competitors la stavano utilizzando o meno. In caso affermativo ti avrei consigliato di biddare sul brand, in caso contrario di lasciar fare alla SEO.
Questo semplice sistema, seppur non esaustivo, era un ottimo modo per cominciare a capire se lavorare o meno sulle parole chiave di brand. Tanto è vero che questa tipologia di campagne è anche conosciuta con il nome di “brand protection”. Proprio perchè ti proteggono da eventuali “attacchi” dei concorrenti.
Certo non mi sarei fermato solo a questa ricerca, ma avrei anche valutato il copy con cui compariva il posizionamento SEO, l’eventuale consistenza di query di ricerca miste e ancora altri fattori (budget, modello di business, presenza di altre fonti di traffico, ecc…).
Oggi però le variabili in gioco sono decisamente cambiate. Le serp sono sempre più complesse e dinamiche. L’utente effettua molte più ricerche e molte delle quali da telefonino. Inoltre l’avvento del machine learning ha cambiato decisamente il modo di concepire le campagne in Google Ads.
Le SERP sono cambiate nel corso degli anni
Le SERP, acronimo di Search Engine Result Page, sono le pagine che si ottengono quando si effettua una ricerca su Google. Nel corso del tempo sono state sempre più arricchite di informazioni aggiuntive oltre al semplice elenco di siti internet.
Pensa ai cosiddetti “rich snippet” che illustrano già nella pagina dei risultati di ricerca informazioni contenute nei siti elencati oppure al Knowledge Graph che presenta altre informazioni in un box a destra dei risultati di ricerca.
Aggiungi le immagini, le mappe, il posizionamento 0 e tutti quei nuovi widget che “rubano spazio” ai risultati organici.
In questo contesto ci sono anche i risultati a pagamento che hanno sempre preso più spazio ed occupano una buona porzione della parte superiore della SERP.
Lo spazio per i posizionamenti organici diventa sempre minore. Affidare il traffico della ricerca di brand ai soli risultati organici potrebbe farti perdere qualche potenziale cliente.
Intercettare i navigatori in un momento chiave
Come ben sai il percorso di acquisto dell’utente si è notevolmente complicato in questi ultimi anni. La presenza dei dispositivi mobili che permettono di fare ricerche da ogni posto e in ogni momento, e soprattutto la nascita di molteplici fonti di traffico (organiche e a pagamento) ha fatto aumentare esponenzialmente i touch point digitali del percorso di acquisto.
Uno studio di Google Ads sostiene che l’utente effettua in media un percorso costituito da ben 140 touch point prima di compiere un acquisto online.
In questo percorso complesso una fase fondamentale è quella di ask, ovvero l’utente è quasi pronto all’azione ma cerca ancora una serie di conferme per essere certo di fare l’acquisto giusto.
Presidiare le SERP con una campagna di brand nella fase di ask diventa un game changer. Ti assicuri ben 2 posizionamenti anziché uno solo e su schermi molto piccoli, come quelli dei telefonini, sei sicuro di essere ben visibile nella parte alta della pagina.
Offrire il messaggio giusto ai navigatori
Il copy dei risultati organici dovrebbe essere ciò che è contenuto nel meta tag titolo e nel meta tag descrizione.
Uso il condizionale perché è poi l’algoritmo di Google a scegliere effettivamente, anche in base alla query digitata dall’utente, quale sia il copy dei risultati organici.
Questo potrebbe essere un limite o comunque non la soluzione migliore se vuoi ottimizzare il percorso di conversione.
Grazie ad una campagna di brand puoi scegliere cosa scrivere nel copy dell’annuncio a pagamento. Questo ti permette di personalizzare il messaggio, inserire offerte, promozioni o ancora altre potenti leve del marketing. Capisci benissimo che inserire scarsità o riprova sociale potrebbe fare la differenza a livello di conversione.
Inoltre, traffico permettendo, potresti anche fare delle segmentazioni dei tuoi utenti. Ad esempio potresti distinguere tra chi non ha mai visitato il sito e ti conosce poco, e chi invece ti conosce bene e ha già acquistato i tuoi prodotti o servizi. In altre parole offrire il giusto messaggio al giusto utente.
Offrire dati di qualità al machine learning di Google Ads
Il machine learning di Google Ads è diventato davvero potente ed in grado di fare la differenza in termini di performance. La capacità di saper analizzare una grossa quantità di dati e cogliere i segnali deboli si traduce in risultati di alto livello nell’account.
Uno però dei presupposti affinché una campagna con offerta automatica (o anche semiautomatica) lavori bene, è dare all’algoritmo dati in quantità e di qualità. Ecco perché è indispensabile a mio parere fare le campagne di brand.
Quest’ultime infatti hanno quasi sempre il tasso di conversione migliore e quindi fanno capire meglio a Google quali sono gli utenti in target.
Lasciare questa parte alla SEO vuol dire privare l’algoritmo della parte finale della conversione che avviene tramite organico e non tramite ads. Grazie invece alla campagne brand offriamo dati di qualità all’algoritmo che riesce a lavorare meglio.
Testare i segmenti di pubblico in osservazione
Lo ripeto da un po’ di tempo, ma forse non è ancora chiaro visto quello che trovo negli account in cui vado a fare audit. Il tempo in cui bastava trovare la “parola chiave” giusta, anzi, il termine di ricerca giusto per poi massimizzare la quota impression, è ormai finito.
Ancora oggi le parole chiave su Google ads rappresentano uno dei metodi principali di targeting ma non vanno dimenticati gli altri metodi e soprattutto vanno sfruttati i segmenti pubblico.
A mio parere quest’ultimi diventeranno sempre più centrali nella gestione dell’account e forse, in un futuro più o meno lontano, sostituiranno (anche parzialmente) le parole chiave.
Chiarita l’importanza dei segmenti di pubblico occorre avere una campagna dove si possono facilmente testare ed ottenere subito delle risposte anche con poco budget.
Hai capito subito che parlo delle campagne di brand. Inserire i segmenti di pubblico in osservazione in questa tipologia di campagne ci permette con un budget relativamente esiguo di fare dei test veloci e mirati.
Oltre al dato di performance potresti scoprire anche segmenti di pubblico che necessitano di essere presidiati anche con altre azioni di marketing. Se ad esempio pubblici apparentemente in target non offrono grandi risultati nelle campagne di brand forse ci potrebbe essere un problema di awareness. Magari quelle audience conoscono poco il marchio/sito e quindi andrebbero fatte delle riflessioni ad ampio respiro sulle attività di brand awareness da fare, al di là dell’account Google ads.
Hanno un costo davvero bassissimo
Un’altra cosa che spesso si trascura quanto si parla delle campagna di brand è il loro costo. Quando in sede di briefing viene illustrata la possibilità di investire nelle campagna di brand il proprietario dell’account è quasi sempre mal disposto ad investire in parole chiave che, a suo parere, vengono già coperte molto bene dalla SEO.
Quando poi viene fatta una stima dei costi incrementali che si andrebbero a sostenere per coprire queste parole la sua opinione cambia radicalmente. Queste campagne infatti, se fatte bene, permettono di avere dei punteggi di qualità altissimi (in genere quasi sempre 10/10) e costano qualche centesimo a clic.
Sarebbe davvero un peccato perdere informazioni preziose da offrire all’algoritmo per non spendere qualcosina in più in termini di budget.
Certo queste campagne possono diventare particolarmente costose quando un concorrente sfrutta (anche involontariamente) le parole chiave del tuo marchio. In questo caso però non investire vorrebbe dire regalare al concorrente utenti che sono molto vicini alla conversione. Inoltre investire ti protegge perché fa diventare molto oneroso per il competitor sostenere tali campagne.
Migliorano il CTR complessivo dell’account
Avere un alto CTR, vuol dire avere tanti clic a parità di impression. Dato che in Google si pagava a clic capite benissimo che un buon CTR per Google equivaleva ad avere un buon account che spende. Anche oggi con le offerte automatiche resta sempre valido il discorso del CTR.
Inoltre, lato utente, avere un buon CTR vuol dire offrire risposte pertinenti alle ricerche degli utenti che altrimenti non cliccherebbero gli annunci.
Avere una campagna di brand permette di aumentare il CTR complessivo dell’account e quindi di essere valutati meglio da Google. Qualche advertiser esperto teorizzava che ci fosse una sorta di indicatore complessivo di qualità dell’account e che uno dei parametri usato da Google fosse proprio il CTR.
Verificare facilmente la presenza di concorrenti che “rubano” traffico
In un mondo veloce e frenetico è importante avere un sistema che ti permette velocemente di accorgerti se un concorrente o un nuovo player del mercato sta sfruttando il tuo brand con una campagna di ricerca ad hoc.
In Google Analytics troveresti un calo delle ricerche organiche. Che però potrebbe essere dovuto a mille fattori. Potresti anche provare a fare direttamente delle ricerche del tuo marchio su Google per capire meglio ma avresti sempre una visione parziale e limitata al tuo browser.
Avere invece delle campagne brand permette di avere sempre sotto controllo questo fenomeno. Grazie poi al report informativo delle aste puoi facilmente essere certo non solo della presenza o meno del concorrente sulle chiavi brand ma anche della sua consistenza.
Vedrai infatti chi sono gli altri player che sfruttano il tuo marchio, il posizionamento in termini di ranking, la percentuale di copertura e quella di sovrapposizione. Nel marketing di oggi, sempre più “data-oriented”, è indispensabile poter disporre di questi numeri.
Monitoraggio continuo del brand
Ogni fine anno vengono pubblicate da Google le parole più ricercate nel corso dell’anno. Questo ci consente di capire che cosa è stato importante per le persone.
Grazie alle campagne di brand puoi avere un monitoraggio continuo del numero di persone che cerca il tuo brand. Quindi hai a disposizione un dato numerico e confrontabile nel tempo relativo al tuo brand. Puoi usarlo per stimarne la notorietà e verificarne l’andamento relativo nel tempo.
Puoi ad esempio conoscere quali sono i periodi dell’anno in cui viene più ricercato (o anche meno). Ancora puoi valutare l’impatto di una campagna di brand awareness online o offline.
Puoi inoltre controllare periodicamente le query associate al proprio brand per sfruttare eventuali ricerche specifiche degli utenti oppure intervenire in caso di problematiche.
Ottenere un ranking alto nelle query miste
Analizzando il rapporto dei termini di ricerca degli utenti, specie su marchi conosciuti si trovano quelle che io definisco query miste. Ovvero la query contiene sia il brand che il nome generico del prodotto servizio.
In questi casi avere una campagna di brand che intercetta queste ricerche vuol dire competere nell’asta con parole con un punteggio di qualità di 10/10.
Anche se le parole generiche attivano gli annunci dei concorrenti è molto probabile che il ranking con le chiavi di brand sarà molto alto e quindi in una posizione migliore e con un cpc mediamente basso.
Addirittura grazie alla corrispondenza generica in alcuni account mi è successo di trovare termini di ricerca generici che attivano la parola chiave di brand con risultati positivi in termini di ranking.
Nel 2021 le campagne di brand sono un’opportunità da non perdere!
Oggi Google ads e il mondo dell’online è profondamente diverso da quello di qualche anno fa. In questo nuovo contesto le campagne di brand in un account Google Ads rappresentano davvero un obbligo (o quasi).
Averle attive nel tuo account vuol dire sfruttare al massimo il potenziale offerto dal machine learning, avere a disposizione tante informazioni in più e controllare meglio il tuo brand.
Non usarle vuol dire lasciare potenziali spazi alla concorrenza.
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